Musica classica contemporanea
Abbastanza spesso sento parlare di “musica
classica contemporanea”. Non resisto quindi alla tentazione di suggerire che questa espressione sarebbe da dimenticare.
È un ossimoro. Se è classica non è contemporanea, se è contemporanea non ha avuto il tempo di classicizzarsi. Nel caso
dei compositori odierni si dovrebbe dunque accettare l’assurdo che la loro musica sia classica, ancor prima di essere concepita – dunque a priori.
In effetti, con tale dicitura spesso si intende (ignorando il senso vero del termine "classico") quello che si usa indicare come “musica highbrow”, che si distingue
(e vuole distinguersi) da quella “lowbrow”. “Musica highbrow” vuole in effetti dire “musica pretenziosa”, che aspira a possedere un valore superiore alle altre, intrinseco, indipendente dal
luogo, dall’occasione e dalla funzione per cui è realizzata.
Nella nostra tradizione, sotto la cappa del cristianesimo, che bandisce la corporeità (vale a dire, la traduzione del suono in movimento fisico), la musica highbrow
si caratterizza per il suo essere, appunto, decorporeizzata. Vale a dire, inadatta ad essere ballata (sacrilego il farlo). È musica, conseguentemente,
che richiede un pubblico dedicato, silenzioso, immobile, desideroso di partecipare a un rito di sacralità laica.
Ogni tanto in quell'ambiente austero, stranamente, si parla di danza. Wagner avrebbe detto che la 7a sinfonia di Ludwig van sarebbe l'apoteosi della danza. Ma quale
danza? Wagner non sapeva ballare. Beethoven, invece, nemmeno. E forse che gli ascoltatori della 7a vengono risucchiati irresistibilmente in un rito dionisiaco come il ballo di San
Vito?
Accettiamo una buona volta l’evidenza: nulla di contemporaneo può essere classico. La posterità deciderà poi in proposito.