Ragtime – il primo genere americano

 

Nel 1974 Edgar Lawrence Doctorow pubblicò un romanzo, intitolato “Ragtime”. SI tratta di un lavoro dalla trama complessa, in cui tutto però ruota attorno alla figura di un pianista nero che suona con estrema eleganza musica ragtime. La presenza della musica nella letteratura americana non è un fatto eccezionale. Scott Fitzgerald e gli scrittori della Beat Generation come Keruac, Ginsberg, Ferlinghetti hanno spesso scritto sulla musica del proprio tempo che spesso fa da sfondo ai loro romanzi. Lawrence Doctorow, invece, scelse di mettere a sfondo del proprio romanzo il ragtime, vale a dire un genere non più contemporaneo, ma il primo genere interamente americano, il primo segnale di quella marea di musica che, a partire dall’inizio del Novecento, cominciò a tracimare dalle Americhe e, in poco tempo, invase il mondo intero. Il ragtime era nato alla fine dell'800. Godette di enorme successo all'inizio del '900. Poi, nel corso di tutto quel secolo conobbe successive ondate di revival: negli anni 40s, ‘70s e ‘90s. 

 

Il ragtime ci porta indietro al tempo di quella che - in Europa – fu la Bélle Epoque. Quando Isadora Duncan ammaliava le platee, all'epoca di Toulouse Lautrec e Claude Monet, quando Eric Satie scriveva le sue musiche ironiche e sarcastiche, quando i grandi transatlantici come il Titanic erano il simbolo dell'ingegneria più avanzata e del progresso che avrebbe dovuto fare del XX secolo il più felice nella storia dell'umanità, oltreoceano, si sviluppava il ragtime. Non mi sorprende che Alessando Baricco, con la sua sensibilità quasi rabdomantica, nel romanzo intitolato “Novecento” collochi un pianista di ragtime proprio su di un grande piroscafo transatlantico; e gli fa dire queste parole: “...suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede.” Questa bella frase è però l’invenzione di uno scrittore odierno, a cui è facile dimenticare che il ragtime, all'epoca del suo nascere, era considerato lowbrow, cioè musica di intrattenimento e di basso conio. Musica da bar e da bordello, per dirla papale chiaramente. A noi oggi verrebbe da osservare che se di musica da bordello si trattava, i bordelli dell'America di primo Novecento dovevano essere frequentati da persone che possedevano un gran buon gusto musicale. Certo, oggi noi diamo senso a quella musica, integrandola nel nostro vissuto di uomini del XXI secolo e non cogliamo più l'elemento di fisicità e di sensualità che ai contemporanei arrivava con forza. Noi siamo lontani da quel mondo. Addirittura, se ascoltiamo i Rags di Scott Joplin o di Joseph Lamb, ci colpisce il loro carattere gentile, sognatore, melanconico e ipnotico.  

 

Quello che ho appena detto, desidero ripeterlo, perché mi pare rilevante. La valutazione contemporanea della musica di epoche trascorse è sempre, inevitabilmente, un fraintendimento del loro senso originario; perché le leggiamo nel contesto della nostra vita, che è profondamente differente da quella che vide la loro nascita e il loro uso. È difficile per noi immaginare, faccio un esempio, che Sarabande, Ciaccone e Passacaglie fossero danze considerate moralmente riprovevoli; che fossero bersaglio dei benpensanti. Lo storico gesuita Juan de Mariana riferendosi alla sarabanda affermò infatti che: “anche le persone più rispettabili se ne sentono infiammati”, e in Italia Giambattista Marino nel 1623 pronuncio il suo anatema: “Pera il sozzo inventor, che tra noi questa introdusse barbara usanza.” È altrettanto difficile per noi immaginare che pure i valzer degli Strauss colpivano per la loro volgarità. Oggi li abbiamo invece depurati, classicizzati e storicizzati; li ascoltiamo in concerto, senza ballare, immobili, e con espressione seria. Proprio lo stesso cosa avvenne e avviene col ragtime. 

 

Vorrei ora indicare il modo in cui un brano di ragtime è messo insieme, costruito, dunque com-posto. Comincia con una breve frase, di pacato carattere dichiarativo. In genere quattro battute. Questa frase, quasi sempre, non assomiglia in nulla alle melodie che vengono dopo. E infatti è subito seguita da una sezione brillante, poi intercalata ad altre sezioni, quasi sempre di eguale interesse. Ma queste non vengono ripetute o non in egual misura alla prima che quindi, così enfatizzata, diviene quella che più facilmente alla fine si imprime nella nostra memoria. È lo stesso procedimento dei valzer, di Joseph Lanner, degli Strauss, di Paul Lincke o Robert Stolz. Io lo chiamo “effetto collana”: è come avere numerose pietre differenti infilate su di un filo, intercalate però pietre di forma e colore identico. Nel ragtime la collana degli elementi melodici è poi sostenuta da formule di accompagnamento, della mano sinistra, che paiono procedere con l'automatismo di una pianola meccanica e che però non mancano di fantasia. 

 

Un'altra cosa merita di essere ricordata, ed è che negli anni '70 del ‘900, il revival del ragtime fu così esplosivo che oggi tutti, o quasi tutti associano alla parola “ragtime” il nome di Scott Joplin ala cui musica fu usata come emblema di quel revival. Fu un revival che io ho proprio vissuto e che fu acceso dal film The Sting (con Robert Redford), un film in cui il compositore Marvin Hamlisch inserì nella colonna sonora due rags di Joplin, The Entertainer e Solace. Quasi contemporaneamente il musicologo, pianista e direttore d'orchestra Joshua Rifkin, notissimo per le sue controverse ipotesi su come eseguire la musica di Bach, registrò su disco sue esecuzioni al pianoforte di diversi ragtime, registrazioni che ebbero un grande impatto. Insomma, il ragtime continua godere di un revival dopo l'altro. Viene da pensare che la sua storia sia ancora lontana dall’essere conclusa.