Compositori, ma ne abbiamo proprio bisogno?

 

Facciamo torto alla musica pensandola solo come qualcosa che i compositori producono con palline nere sul pentagramma. Le facciamo torto, perché allora la definiamo come “arte”. Ma è riduttivo classificare così un fenomeno ben più esteso. La musica non è solo arte, perché è natura assai prima di essere cultura. Per questo appartiene a tutti.

 

Nell’intero pianeta la musica si genera attraverso un processo collettivo, quello che gli etologi chiamano “intelligenza di gruppo”. Non tutti saprebbero produrre una bella canzone, ma interventi individuali, distanziati nel tempo una collettività ci riese bene. Succede nel rock, che non si scrive, che si impara per osmosi, e in cui si parla di “autori” solo perché esiste il copyright; altrimenti si dovrebbe ammettere che è produzione collettiva. Nessuno su questa terra ha mai voluto personalizzare il processo musicale come abbiamo fatto noi in Occidente. C’è qualcosa di perverso nell’affidarlo a pochi eletti e costringere gli altri al ruolo di ricettori passivi.

 

Ma è poi solo illusione che la composizione sia un prodotto individuale. Mozart usava accordi che non aveva inventato lui; non aveva inventato nemmeno l’armonia funzionale, la forma sonata o lo sviluppo tematico. In ogni caso, non è così grave se nel musicare qualcuno si evidenzia più di altri. Possiamo anche chiamarlo compositore, se gli fa piacere essere chiamato così. Ma che l’idea stessa del comporre sia innaturale e bizzarra lo mostra il fatto che ha avuto il suo corso e oggi perde terreno. Di un brano rock o pop non chiediamo mai chi sia l’autore. E nella sub-cultura classica l’ambito di riconoscimento dei “compositori” si restringe pure progressivamente. Che sia impossibile oggi diventare celebri come lo furono Verdi o Wagner, segnala un cambiamento.
Insomma, se la guardiamo in prospettiva interculturale, dovremo ammettere che quello del compositore (dell'individuo che consapevolmente realizza l'evento musicale) costituisce un epi-fenomeno: sempre più ‘epi’ e sempre meno ‘fenomeno’.