Darius Milhaud: tiranni e canzoni
(Radiotelevisione della Svizzera Italiana, Rete Due - Novecento, Passato e Presente: presentazione del concerto, gennaio 2003)

Tra poco ascolteremo un brano da Darius Milhaud. Se vi dicessi quando è vissuto, ai più giovani qui presenti sembrerebbe che sia vissuto tanto, tempo fa. Non è proprio così perché quando io ero bambino questo Darius Milhaud era ancora vivo e scriveva musica in quantità; e la scriveva dovunque, in autobus, in treno, in aeroplano. Quando era seduto al caffè, spesso tirava fuori la carta da musica e, immaginando i suoni nella sua testa, la buttava giù. Tra le tante cose scrisse anche il pezzo che sentiremo tra poco: La morte di un tiranno. Lo compose nel 1932. Ora questo magari può interessare di più ai meno giovani tra voi, se ricordo loro che il 1932 è l’anno in cui Prokofiev lascia gli Stati Uniti e torna in Russia. E’ anche l’anno in cui Roosevelt diventa presidente degli Stati Uniti e con il New Deal ricostruisce l'economia americana travolta dalla crisi del 1929. Questo è l’anno in cui gli italiani, che avevano già vissuto dieci anni di fascismo, cantavano "Parlami d'amore Mariù" (canzone che rese celebre il film Gli uomini che mascalzoni, interpretato da Vittorio de Sica). Ma ai giovanissimi occorre ricordare che a quell’epoca un po’ lontana, il 1932, in Europa di tiranni ce ne erano già almeno un paio e il peggiore di tutti saltò fuori l’anno dopo in Germania. E così questo compositore di cui sto parlando, che spesso scriveva musica allegra, spiritosa e divertente (fece un pezzo intitolato "Il bue sul tetto", ne fece un altro in cui si parla di caramelle); ebbene, questa volta scrisse invece una musica piuttosto seria perché parla appunto di tirannia. E in questo brano decise di utilizzare, oltre ad un gruppo di strumenti, un coro che più che cantare…parla. E a questo punto nuovamente devo rivolgermi agli adulti (anche a loro bisogna pur dare qualcosa). E voglio dire che si è frequentemente osservato come in alcune culture, si parli a volte in modo così enfatico che quasi sembra di sentire cantare. Succede in Africa, per esempio, dove spesso il canto viene considerato non proprio una forma di musica ma, invece, un modo particolare di parlare, di parlare enfatiicamente. Ma in qualche altro caso è il canto che si ritrae e per così dire, ricade, si introflette nel parlato. Verrebbe da domandarsi perché in Europa, nella prima metà del Novecento, la regressione del canto nel parlato (pensiamo a Schoenberg) sia una scelta estetica praticata con relativa frequenza. Forse ci dice qualcosa sull’atmosfera di quegli anni. Non so. Varrebbe forse la pena rifletterci. Ma intanto invito grandi e piccoli ad ascoltare questo coro che scendendo di un gradino al di sotto di quello che noi consideriamo canto a tutti gli effetti, ci racconta La morte di un Tiranno.